È il primo terreno acquistato da Manu Manu Riforesta!, grazie alla campagna di donazioni. Si tratta di una piccola palude con un bosco fitto di olmi – circa 1 ettaro – protetta, in quanto prezioso e raro ecosistema denominato ‘stagno temporaneo’, dal Progetto Europeo Habitat – Natura 2000 come area ZSC (Zona di Speciale Conservazione).
L’area ZSC è denominata Padula Mancina (la palude più grande nella zona meridionale dei Paduli) che include, oltre al Bosco Don Tommaso, anche Stagno Canali, coprendo un’area di 91 ettari.
Perché il piccolo ‘stagno temporaneo’ di Manu Manu Riforesta! è nell’elenco delle 26 aree ZSC della Regione Puglia? Grazie alla scoperta del Trifoglio acquatico peloso. Che posto occupa Bosco Don Tommaso nel progetto di agro-forestazione, quali sono le azioni possibili? “Il ruolo nell’uomo nei processi ecologici che governano gli stagni temporanei è solitamente sottovalutato, se non del tutto sconosciuto. La gestione degli stagni temporanei presuppone, quindi, un processo culturale a cui tutti – Pubblica amministrazione, enti di ricerca, associazioni o vari ordini professionali – possono responsabilmente contribuire.”
Di questo ed altro racconta, di seguito, il biologo ed ecologo Leonardo Beccarisi.
Lo stagno temporaneo di Bosco Don Tommaso
Le conoscenze scientifiche dello stagno temporaneo di Bosco Don Tommaso hanno una storia breve. Questa inizia nel 2009 con la scoperta di una felce acquatica, il trifoglio acquatico peloso, nel vicino stagno di Padula Mancina, nel comune di Montesano Salentino. Questa nota fornisce il racconto della scoperta di questa specie, dell’istituzione della Zona Speciale di Conservazione “Padula Mancina” di cui lo stagno del Bosco Don Tommaso fa parte, e dell’importanza ecologica degli stagni temporanei.
Il trifoglio acquatico peloso
Il trifoglio acquatico peloso (Marsilea strigosa) è una piccola felce acquatica perenne, caratterizzata da un fusto sotterraneo e strisciante, e da foglie aventi peduncoli pelosi e lamine suddivise in quattro segmenti. Essendo una felce, la pianta non produce fiori, ma si riproduce attraverso spore. L’areale di distribuzione è strettamente mediterraneo e legato all’habitat degli stagni temporanei.
La presenza di questa specie in Puglia è documentata da alcune pubblicazioni risalenti all’Ottocento (Fiori, 1943). Fu segnalata per il Foggiano, il Golfo di Taranto ed i Laghi Alimini, ma a causa della mancanza di osservazioni successive, in tempi recenti l’estinzione di questa specie in Puglia è stata considerata come possibile. Era un’ipotesi avvalorata anche dall’andamento negativo di questa specie in tutto il suo areale di distribuzione, inclusa l’Europa (Bilz et al., 2011).
La causa principale del generale declino del trifoglio acquatico peloso è la trasformazione del suo particolare habitat. Prosciugamenti, canalizzazioni, dissodamenti sono stati perpetrati per decenni a danno di tutte le zone umide sulle coste del Mediterraneo, e specialmente a scapito di quelle stagionali che, come si dirà tra breve, tra tutti gli ecosistemi acquatici sono i più vulnerabili.
L’istituzione di due nuove Zone Speciali di Conservazione nel Salento per la conservazione del trifoglio acquatico peloso
La Direttiva Habitat 92/43/CEE ha come obiettivo la conservazione della biodiversità dell’Unione Europea attraverso un sistema di aree protette denominato Rete Natura 2000. L’individuazione di queste aree si basa sulla presenza di particolari specie e tipi di habitat naturali su cui l’Unione Europea pone un particolare interesse. Il trifoglio acquatico peloso, dato il rischio di estinzione cui corre in Europa, è stato inserito nell’elenco di queste specie di interesse comunitario secondo la Direttiva Habitat.
Il trifoglio acquatico peloso, quando ormai la comunità scientifica lo dava per estinto ovunque in Italia, tranne che in Sardegna (Bartolucci et al., 2018), fu inaspettatamente ritrovato in Puglia nel 2009 a Padula Mancina, nel comune di Montesano Salentino (Accogli & Beccarisi, 2010). A questo ritrovamento ne seguì un altro dopo breve tempo, nel Lago del Capraro, tra i comuni di Soleto e Sternatia (Ernandes & Marchiori, 2012). Così, il trifoglio acquatico peloso, sembrò ricomparire in Puglia dopo oltre un secolo, sebbene in siti diversi da quelli riportati nelle antiche segnalazioni. In realtà, più che di una ricomparsa, le nuove segnalazioni sono state il risultato di un nuovo e crescente interesse scientifico per le zone umide stagionali della Puglia, con un intensificarsi delle ricerche su questo tema nell’ultimo quindicennio (Beccarisi et al., 2007; Alfonso et al., 2011).
Negli anni seguenti, in occasione dell’attività di monitoraggio condotta periodicamente per valutare lo stato di conservazione degli habitat e delle specie della Rete Natura 2000, i nuovi dati dei due siti salentini furono consegnati all’Unione Europea. Ciò fu determinante per avviare, su sollecito della stessa Unione Europea, una procedura finalizzata all’inclusione dei due nuovi siti nella Rete Natura 2000. Infatti, poiché i siti si trovavano al di fuori di questo sistema di tutela, non era possibile avviare specifiche misure di conservazione per il trifoglio acquatico peloso così come previsto dalla Direttiva Habitat.
Quindi, il Servizio Parchi e Tutela della Biodiversità della Regione Puglia, con il supporto scientifico del Museo Orto Botanico dell’Università di Bari, elaborò la proposta di istituzione dei due Siti di Importanza Comunitaria “Padula Mancina” (codice IT9150035) e “Lago del Capraro” (codice IT9150036) per la conservazione del trifoglio acquatico peloso (DGR n. 1596/2016). Successivamente, le misure di conservazione già in vigore per gli habitat e le specie della Rete Natura 2000 in Puglia (Regolamento regionale n. 16/2016) vennero estese ai due nuovi siti (Regolamento Regionale n. 12/2017). Infine, la designazione dei due siti come Zone Speciali di Conservazione (Decreto 28 dicembre 2018) rese effettiva la loro inclusione nella Rete Natura 2000. Il cambio di denominazione è sostanziale, dato che predispone i siti all’individuazione di un ente gestore e alla definizione di un piano di gestione, secondo una procedura amministrativa ancora in corso.
La Zona Speciale di Conservazione “Padula Mancina”
La Zona Speciale di Conservazione “Padula Mancina” (da qui poi indicata semplicemente come ZSC) fu individuata seguendo due criteri propri dell’Ecologia della conservazione: la definizione di un’area cuscinetto e la distribuzione del rischio.
Le condizioni ambientali dello stagno dipendono non solo dai processi ecologici che si realizzano all’interno, ma anche dalle attività che vengono svolte all’esterno. È per questo che l’area della ZSC è più estesa rispetto a quella dello stagno in cui è presente il trifoglio acquatico peloso, ed include un ampio territorio di campi coltivati ed incolti umidi, che svolge appunto il ruolo di area cuscinetto.
Il popolamento di trifoglio acquatico peloso è l’unico nella zona ed è piuttosto distante da quello del Lago del Capraro, localizzato circa 30 km più a nord. L’inclusione nella ZSC di aree aggiuntive con caratteristiche ecologiche simili e spazialmente vicine, anche se non colonizzate dalla specie oggetto di conservazione, configura uno scenario ampio di tutela che consente di elaborare azione efficaci per ridurre il rischio di estinzione della specie. Ad esempio, la traslocazione di piante da un sito all’altro si candida come una valida soluzione. Per questa ragione la ZSC si compone di tre aree disgiunte ma vicine: Padula Mancina nel comune di Montesano Salentino, lo Stagno Canali nel comune di Miggiano e lo stagno di Bosco Don Tommaso nel comune di Ruffano. Quest’ultimo è riportato nello studio ecologico in allegato al DGR n. 1596/2016 come Fosso presso Palude Rotondo. La superficie complessiva della ZSC è di 91 ettari.
L’habitat degli Stagni temporanei mediterranei
I tre stagni della ZSC hanno caratteristiche idrologiche simili. Essi sono infatti stagionali, cioè si riempiono in inverno e si prosciugano in estate. L’acqua è esclusivamente piovana e giunge nell’area di accumulo (lo stagno) attraverso il ruscellamento superficiale dalla campagna circostante. Queste condizioni materializzano un particolare tipo di habitat naturale che rientra nei tipi di habitat oggetto di tutela da parte della Direttiva Habitat: quello degli Stagni temporanei mediterranei.
Gli Stagni temporanei mediterranei (codice Natura 2000: 3170*) sono uno degli habitat individuati dalla Direttiva Habitat come elementi a cui dedicare particolare attenzione. A causa delle preoccupanti situazioni in cui si trovano, è infatti necessario predisporre urgenti misure di conservazione; nel gergo della Direttiva, questi habitat sono chiamati habitat prioritari, ed occupano una posizione particolare rispetto a tutti gli altri habitat di interesse comunitario.
Le ragioni di questa particolare attenzione per gli Stagni temporanei mediterranei risiedono nel fatto che le aree umide stagionali sono particolarmente vulnerabili. Essendo di modeste dimensioni e presentandosi asciutte in una parte dell’anno, sono facilmente aggredibili e soggette a trasformazione attraverso l’aratura, la colmatura, il drenaggio, oppure, se individuate come recapiti terminali di più estesi sistemi idraulici, possono diventare dei corpi idrici permanentemente inondati. Sono operazioni che sono state condotte estesamente non solo in passato, come ad esempio nel corso della bonifica integrale dello scorso secolo, ma anche nei tempi recenti.
Ma cosa ha di così particolare questo tipo di habitat? Esso accogli specie fortemente adattate a vivere nel perpetuo avvicendarsi di due condizioni ambientali: l’inondazione invernale e la siccità estiva. Si tratta di specie vegetali ed animali tipicamente mediterranee, a ciclo annuale. Nel periodo di inondazione, si riproduce la maggior parte degli animali acquatici e delle alghe; molte piante, invece, aspettano che il livello dell’acqua si abbassi prima di manifestare i propri organi riproduttivi. Nel periodo siccitoso, solo poche piante perenni rimangono nella forma vegetativa; la maggior parte degli organismi invece muore producendo semi, spore, gemme quiescenti, uova e cisti, cioè corpuscoli di vario tipo resistenti alla disidratazione che si depositano in gran quantità sul fondo asciutto dello stagno; in questo stato possono accidentalmente essere trasportati dagli uccelli per lunghe distanze. Le alghe (come le alghe a candelabro) ed i crostacei (come i branchiopodi) producono forme di resistenza che restano in quiescenza per tutta l’estate; le piante (come i ranuncoli e le gamberaje) producono semi; le felci acquatiche (come le calamarie e il trifoglio acquatico peloso) producono spore. Si tratta di numerose specie estremamente peculiari, in molti così rare e a rischio di estinzione, che si assortiscono in comunità biologiche molto diverse e sensibili alle minime variazioni ambientali.
Nello stagno di Bosco Don Tommaso l’habitat degli Stagni temporanei mediterranei è poco esteso ma manifesta caratteri comunque interessanti. Ad esempio, nel sito è presente l’eliotropio supino (Heliotropium supinum), una specie vegetale il cui areale di distribuzione in Puglia è presumibilmente in regressione; la specie è attualmente nota solo per la ZSC e per un’altra area protetta regionale, cioè quella dei laghi di Conversano, nel Barese.
La gestione degli stagni temporanei, e delle specie che li colonizzano, è un problema delicato che va affrontato con competenza. In mancanza di un’adeguata conoscenza ecologica, il rischio è di condurre azioni con l’intento della tutela, ma che con il tempo possono piuttosto rivelarsi distruttive. Ad esempio, il ruolo nell’uomo nei processi ecologici che governano gli stagni temporanei è solitamente sottovalutato, se non del tutto sconosciuto. I siti in cui si manifesta l’habitat sono frequentemente gestiti, o sono stati storicamente gestiti, attraverso il pascolamento tradizionale. Così come le praterie steppiche, che sono elemento distintivo del paesaggio mediterraneo, anche gli stagni temporanei sono il risultato di una duratura interazione tra l’uomo pastore e la risorsa erbacea spontanea; un sistema uomo/armenti/vegetazione che si è evoluto per secoli, se non addirittura per millenni. È questo un evidente caso in cui il ripristino della natura può essere perseguito prima di ogni cosa attraverso il ripristino della relazione tra uomo e natura. La gestione degli stagni temporanei presuppone, quindi, un processo culturale a cui tutti, affiliati alla Pubblica amministrazione, agli enti di ricerca, alle associazioni o ai vari ordini professionali, possono responsabilmente contribuire.
Bibliografia citata
Accogli R., Beccarisi L. (2010) 178. Marsilea strigosa L. Puglia (D. Marchetti, Ed.). Ann Mus civ Rovereto, Sez : Arch, St, Sc nat 25 (2009):103–104.
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Bartolucci F., Peruzzi L., Galasso G., Albano A., Alessandrini A., Ardenghi N.M.G., Astuti G., Bacchetta G., Ballelli S., Banfi E., Barberis G., Bernardo L., Bouvet D., Bovio M., Cecchi L., Di Pietro R., Domina G., Fascetti S., Fenu G., Festi F., Foggi B., Gallo L., Gottschlich G., Gubellini L., Iamonico D., Iberite M., Jiménez-Mejías P., Lattanzi E., Marchetti D., Martinetto E., Masin R.R., Medagli P., Passalacqua N.G., Peccenini S., Pennesi R., Pierini B., Poldini L., Prosser F., Raimondo F.M., Roma-Marzio F., Rosati L., Santangelo A., Scoppola A., Scortegagna S., Selvaggi A., Selvi F., Soldano A., Stinca A., Wagensommer R.P., Wilhalm T., Conti F. (2018) An updated checklist of the vascular flora native to Italy. Plant Biosystems 152:179–303.
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Bilz M., Kell S.P., Maxted N., Lansdown R.V. (2011) European Red List of Vascular Plants. Publications Office of the European Union, Luxembourg.
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